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DICEMBRE/GENNAIO 2018
Unmanager che si trova di fronte ad un fenomeno di
espansione o di contrazione fulminea delle vendite,
come quello citato, non ha certo il tempo di dedicar-
si alla pura speculazione scientifica. Quindi il rischio
di prendere abbagli a causa dei vari automatismi
algoritmici è elevato (detto da chi li mette a punto
seriamente). Conclusione: diffidare da coloro che
affermano, a proposito della varia strumentazione
proposta, che “non c’è problema”. Di problemi con
i big data, al contrario, ce ne sono e molti. E non
abbiamo neppure iniziato a evidenziarli!
Un secondo esempio, in positivo, riguarda un
aspetto della teoria del consumo, noto sotto il no-
me di asimmetria informativa. Il ruolo che giocano
i social network e le varie applicazioni reperibili in
Internet consente, infatti, un progressivo muta-
mento di rapporti tra colui che vende è colui che
acquista. Questo è vero nello specifico nei mercati
a bassa frequenza di acquisto come il mercato
dell’auto. Una famiglia normale
può riacquistare un veicolo a
distanza the 7, 8, 10 anni. In
altri casi può acquistare veicoli
usati o a km zero, nel qual caso
il problema della scelta è ancora
più complesso.
Chi vende conosce bene le
caratteristiche di quel prodotto.
Chi compra hadelle informazioni
molto più superficiali. In un’e-
poca di Digital Transformation,
tuttavia, le basi informative di
chi acquista possono divenire
più ampie e accurate. Infatti,
alle informazioni tecniche facil-
mente reperibili e confrontabili si aggiungono le
menzioni dei clienti che hanno acquistato in pre-
cedenza. Sembrerebbe allora che questa raccolta
di informazioni di natura molto semplice non abbia
controindicazioni. In realtà, la questione èmolto più
complessa in quanto è profondamente influenzata
da numerose concause attinenti all’economia
dell’attenzione, alla rilevanza delle fonti, ai bias
delle fake news, alle manipolazioni artificiose dei
giudizi, alla tendenza imitativa che può innescare
fenomeni mimetici.
Per capire se effettivamente i Big Data contri-
buiscono ad attenuare l’asimmetria informativa
occorrono studi seri su come i vari segnali vengo-
no percepiti, compresi, selezionati, memorizzati,
ritenuti nel lungo periodo da una mente umana.
Ed anche questo non è un gioco da ragazzi!
che affluiscono attraverso le loyalty card, i beacon, le
carte di credito, le varie transazioni in Internet, i dia-
loghi sui social network … possono generare miraggi
pericolosi, piuttosto che nuove conoscenze.
Le scienze naturali, al contrario delle scienze sociali
male insegnate e ancor peggio applicate, evidenziano un
principio: l’informazione utile è sempre quella attinente
ad una qualche teoria, spesso puramente deduttiva, di
cui si cerca la conferma empirica.
Il marketing, invece, si basa troppo spesso su un ap-
proccio puramente induttivo. Ovvero: dato un insieme
di informazioni numeriche e/o qualitative si cerca, a
posteriori, una spiegazione che sembra possa adattarsi
in qualche modo ad una sequenza dei dati resi di-
sponibili. I paradossi che si potrebbero elencare a tal
proposito sono innumerevoli. Ancor più fallace è l’idea
che un metodo statistico o un algoritmo matematico
(data mining, genetic algorithms, neural networks, ma-
chine learning, ecc.) possano autonomamente dare un
senso ad un insieme di numeri che, nella superficialità
imperante, provengono, per di più, da fonti diverse. Il
tutto si spiega con il fascino delle narrazioni di coloro
che offrono queste soluzioni in termini di applicazioni
software o di consulenze varie e che nei vari convegni
dedicati, non sono mai soggetti al giudizio di referees
qualificati.
Nel campo delle scienze naturali coloro che elaborano
le teorie interpretative dei vari fenomeni sono individui
o istituzioni diverse da coloro che predispongono gli
strumenti per condurre le successive sperimentazioni.
In altre parole, chi propone una teoria ovvero, la spie-
gazione, non è colui che appronta la strumentazione
sperimentale. Ed è una bella differenza!
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