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OTTOBRE/NOVEMBRE 2017
che offre. A latere del
curbside
express, cioè la conse-
gna porta-a-porta e del pick-up sul punto di vendita,
troviamo il ‘foodie fleet’, o vendita ambulante con
camioncini attrezzati che raggiungono i clienti in
luoghi dove vivono altri momenti della loro vita:
sportivi, celebrativi, lavorativi
. Viceversa, per coloro
che amano abbinare lo shopping con l’esperienza ga-
stronomica, Market District propone, in primo luogo,
un ristorante di qualità con 160 sedute chiamato Table e
collegato con il superstore. Assieme a piatti che costano
dai 6 agli 11$ il suo servizio bar permette poi di spaziare
tra 18 diverse spillature di birra e un assortimento di
circa 1.200 etichette in bottiglia.
L’impronta gastronomica dell’insegna è poi rafforzata
dalle varie isole all’intento del grande superstore con il
Crepe and Rosti bar, e poi i vari Bonyard BBQ, Candy
Shop, Gelato Bar, Panini Station, Salad Station e una
piccola torrefazione dei caffè varietali.
In secondo luogo, nei 14 Market District, assumono ri-
levanza, le cooking school e le demo kitchen, essenziali
per lo svolgimento di eventi tesi a favorire la convivialità
tra clienti, non solo attraverso l’assaggio, ma anche
grazie alla musica live e la presenza di personalità di
una certa celebrità. Insomma, a chi si pone oggi, nel
nostro paese, il problema di rivitalizzare gli esausti
ipermercati, Market District offre, a tal proposito, una
bella gamma di idee.
Comunicazione”ingenua”
Venendo agli aspetti ‘strutturali’, va
sottolineata l’ibridazione con i tratti
mutuati dall’insieme delle insegne con-
correnti di successo, tutte presenti nei
ricchi mercati di Ohio e Pennsylvania.
In primis, va notato l’aspetto epidermico
della
comunicazione in-store ispirata
ad una spontaneità apparentemente
naive
, à la Trader Joe’s, grazie all’uso
diffuso delle ormai onnipresenti lavagne
nere scritte a mano e dell’iconografia
fumettistica, nonché delle apposizioni
di varie sculture commerciali nei singoli
reparti. Ovvio poi rimarcare l’uso di quel
‘lettering’ libero e creativo che per gli
architetti e gli store designer di casa
nostra è espressione del kitsch, ma che
tanto piace alla clientela oltreoceano e
ancor più a quella europea che scopre
l’America.
‘Shopping’ e ‘fun’ debbono, infatti, co-
niugarsi sempre meglio per opporre
resistenza al soffocamento lento e pro-
gressivo operato dalle formule basate sul
basso prezzo di una merceologia seria-
le. La preoccupazione espressa dal CEO,
Laura Karet
è proprio quella di marcare
un proprio tratto distintivo, rafforzando
la relazione con la clientela al pari degli
archetipiWholeFoodsedei tanti ‘indipen-
denti’, che propongono ‘experiences’.
MARKET DISTRICT